Pedalare sul Passo Pordoi: il mito delle Dolomiti su due ruote
C’è un nome che, per ogni ciclista, evoca immediatamente leggenda, fatica e bellezza: Passo Pordoi. Situato a 2.239 metri d’altitudine tra le vette dolomitiche, questo valico non è soltanto un confine geografico tra Trentino e Veneto, ma un traguardo simbolico per chi ama misurarsi con la montagna in sella a una bici.
La salita, tra mito e realtà
Il versante più noto parte da Canazei, in Val di Fassa: 12,9 chilometri di ascesa, 799 metri di dislivello e una pendenza media che si mantiene attorno al 6%. Una salita regolare, mai impossibile, ma capace di logorare con i suoi 27 tornanti che si susseguono come un rosario. Ogni curva è numerata: un piccolo conforto psicologico per chi pedala, un invito a resistere fino alla successiva.
Dal lato opposto, quello di Arabba, l’impegno è simile: 9,2 chilometri, 638 metri di dislivello e pendenze più incisive, che toccano il 9% in alcuni tratti. Qui il panorama si apre sulle cime del Sella e sulla Marmolada, rendendo la fatica parte di uno spettacolo naturale.
Un palcoscenico del Giro d’Italia
Il Pordoi non è una semplice salita: è un tempio del ciclismo. Il Giro d’Italia vi è transitato decine di volte, spesso con il “Cima Coppi”, il punto più alto della corsa. Qui si celebra la memoria di Fausto Coppi, con un monumento che richiama il legame eterno tra il Campionissimo e le Dolomiti. Fermarsi davanti a quella statua è un rito, quasi un atto dovuto per chi affronta il passo in bicicletta.
Pedalare dentro un paesaggio patrimonio UNESCO
Oltre allo sforzo fisico, ciò che colpisce chi affronta il Pordoi è il contesto: le Dolomiti, patrimonio dell’umanità UNESCO. Le torri rocciose del Sella, i prati verdi in estate, i riflessi della neve d’inverno: ogni stagione trasforma il percorso in un quadro diverso. Arrivati in cima, la vista si apre a 360 gradi e la fatica si scioglie in una sensazione di conquista.