L’Appennino che non ti aspetti: viaggio lento tra borghi e silenzi.
C’è un’Italia che non corre, che respira al ritmo del vento e dei passi lenti sui pedali. È l’Italia dell’Appennino centrale, quella che si scopre salendo senza fretta, in silenzio, tra curve che odorano di bosco e antichi borghi che sembrano fermati nel tempo.
Parto da Norcia in una mattina fresca di primavera, con la bicicletta carica il giusto e la mente sgombra. Davanti a me, il Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Nessuna fretta: ogni salita è un invito alla contemplazione. Pedalo verso Castelluccio, tra i campi che a giugno esplodono in un tripudio di colori: gialli, rossi, blu. Fiori spontanei che si mescolano alla storia e alla leggenda di queste montagne.
La sella diventa punto di osservazione privilegiato. Qui non si cerca la performance, ma l’esperienza. Una fontanella diventa ristoro, una chiesa romanica occasione di sosta. In un piccolo rifugio, incontro altri viaggiatori: tedeschi, olandesi, anche italiani. Parliamo poco, ma ci capiamo subito. C’è un linguaggio universale fatto di chilometri e sorrisi.
L’Appennino ti insegna a rallentare. Ti offre panorami che non si chiedono di essere fotografati, ma semplicemente vissuti. Quando arrivo a Visso, la sensazione è quella di aver varcato una soglia: sono più stanco, sì, ma anche più presente.
Il cicloturismo, qui, non è sport. È resistenza poetica. È il modo più umano di viaggiare.