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Pneumatici tubeless: rivoluzione o rischio per il viaggiatore a pedali?

Nel ciclismo sportivo i tubeless sono ormai realtà consolidata, ma nel cicloturismo l’adozione è più cauta. Eliminare la camera d’aria promette vantaggi concreti: riduzione delle forature, comfort migliore grazie a pressioni più basse e grip superiore su sterrati e strade dissestate. Per chi viaggia in bikepacking su terreni misti, la differenza si sente eccome.

Il tallone d’Achille è la gestione dei problemi in viaggio. Il lattice sigillante funziona bene con piccoli tagli, ma in caso di squarcio più serio si deve comunque inserire una camera d’aria. E qui emergono le complessità: smontare un copertone tubeless incollato dal lattice non è un’operazione sempre rapida, soprattutto sotto la pioggia o con mani stanche dopo ore in sella.

Inoltre, il mantenimento richiede ricordi puntuali: rabbocchi di sigillante ogni pochi mesi, pulizia periodica delle gomme e delle valvole. Un impegno che non tutti i viaggiatori sono disposti ad assumersi.
C’è però un aspetto che i sostenitori sottolineano: ridurre le forature significa meno fermate indesiderate e più continuità di marcia. Per chi percorre lunghe tratte in solitaria, questa affidabilità vale oro.

La verità, forse, sta nel mezzo: i tubeless rappresentano un upgrade interessante per chi affronta terreni misti e viaggi relativamente brevi o in zone ben servite. Per le spedizioni in terre remote, le care vecchie camere d’aria rimangono compagne più rassicuranti.

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