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Gravel: la nuova frontiera del cicloturismo avventuroso

Nata come disciplina di nicchia negli Stati Uniti, la gravel bike ha conquistato in pochi anni il cuore degli appassionati europei. Telaio robusto, gomme più larghe, geometria pensata per affrontare lunghi percorsi misti: non è una bici da corsa, non è una MTB, ma una sintesi che apre infinite possibilità.
In Italia il fenomeno è esploso: eventi come la “Nova Eroica” in Toscana o la “Jeroboam” in Franciacorta radunano ogni anno migliaia di ciclisti da tutta Europa. Non si tratta di gare, ma di avventure collettive su strade bianche, sterrati e sentieri che attraversano boschi e colline.
La filosofia è semplice: libertà e scoperta. Chi pedala su gravel non cerca la velocità, ma la possibilità di andare “oltre l’asfalto”, di deviare da un percorso segnalato per esplorare un borgo, un mulino abbandonato, un argine dimenticato. È un ritorno al ciclismo come esplorazione, dove la traccia GPS è solo una guida e non un vincolo.
Il boom della gravel ha anche un risvolto economico. Alcune regioni stanno investendo per promuovere i propri percorsi sterrati: in Veneto è nato il progetto “Terre di Gravel”, in Sardegna la “Sardinia Gravel Trail”. Non solo itinerari, ma anche accoglienza su misura: bike hotel, officine lungo i percorsi, servizi di trasporto bagagli.
Il messaggio è chiaro: il cicloturismo del futuro sarà sempre più avventuroso, lento e capace di unire sport e scoperta. La gravel non è una moda, ma una porta aperta su un nuovo modo di viaggiare.

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